Vedova, Emilio: dattiloscritto firmato di 2 pagine datato 22 luglio 1962. Ai lati del testo numerose indicazioni per la stampa e qualche correzione al testo. L’articolo, indirizzato a Vigorelli, fu pubblicato sulla rivista “Europa Letteraria”. Lo scritto di Vedova si inserisce nel dibattito apertosi nella cultura italiana a seguito di quanto avvenne alla Biennale di Venezia del 1962, quando la selezione degli artisti presenti nel padiglione russo pose in essere il problema del rapporto tra politica ed arte. Ben conservato.
Nel 1962, Larisa Salmina, il commissario del padiglione, esplicitava così i criteri con cui erano stati selezionati gli artisti che dovevano rappresentare la cultura artistica russa in una fase molto delicata della sua vicenda novecentesca, quella del disgelo post staliniano guidata da Nikita Khrushchev: “L’arte sovietica è rappresentata alla XXXI Biennale di Venezia da alcuni artisti appartenenti a varie nazionalità e generazioni. L’opera di questi artisti dà una chiara idea di quanto siano numerose le maniere creative, di quanto sia ricca la tematica che illustra la vita del popolo sovietico, e di come sia profondamente umana l’arte sovietica”.
Se Renato Guttuso, che partecipò al dibattito, parlò allora di “resistenzialismo”, i critici italiani scrissero invece o di un “faticoso travaglio per il rinnovamento” (Mario De Micheli) o di un perdurante arretramento. Paolo Rizzi su “Il Gazzettino” denunciava: Destalinizzare la pittura dei paesi socialisti. Già, come se tutto dipendesse da Stalin, come se bastasse togliere dai muri i ritratti del dittatore ripudiato. (…) È troppo facile il giochetto. È troppo facile dire che tutta la creazione artistica dell’Unione Sovietica e dei paesi socialisti è alla vigilia di un cosciente rinnovamento che non intacca, anzi rafforza i valori. Il primo che affrontò il problema della destalinizzazione della pittura in modo graduale fu Chruscev. Con lui si aprì una fase di apertura culturale, nota come “il disgelo”. A mano a mano che il processo si avviò, nei quadri a tema sovietico venivano trasferiti i valori ideologicamente neutrali della pittura en plein air, traducendosi di fatto in un revival impressionistico in forte contrasto con l’estetica staliniana. Si affermò così una sorta di Impressionismo sovietico e Stile severo, che faceva forza su “immagini sintetiche” riconducibili a varie influenze internazionali tra cui i muralisti messicani, i pittori inglesi del “Kitchen Sink” nonché all’arte sovietica degli anni Venti ripudiata dallo stalinismo. Il conflitto tra innovazione e conservazione scoppiò a Mosca nel 1962 in occasione di una grande mostra alla Sala del Manège di fronte ai “Geologi di Nikonov”, dipinto che con la sua estrema semplificazione della forma, insidiava l’impianto tanto narrativo quanto ideologico dell’intero sistema artistico sovietico. Di fatto, i Geologi non determinarono il crollo del Realismo socialista, ma rivelarono in modo inequivocabile i cambiamenti in corso nella pittura sovietica.
(…) Partecipo ben volentieri al dibattito aperto da Europa Letteraria. Questo è un tema tanto mio. La battaglia della destalinizzazione ha radici lontane, è stata fatta anche in Italia. E forse cominciò proprio in quell’autunno 1948 quando: “dopo la famosa prima Biennale del dopoguerra, eravamo stati invitati da una mostra tenuta dal “Fronte della Cultura” di Bologna; ci trovammo artisti e critici d’avanguardia. Stava nascendo il neo-realismo. A Bologna mi scontrai in un dibattito pubblico con Guttuso, a Palazzo Re Enzo. I nostri quadri erano là, palesi di questo contrasto. Togliatti pubblicò il mio quadro “Uragano” (…) su “Rinascita” alla rovescia, parlando di pittura da non accettarsi. Mi ritrovai solo in crisi più che mai (…)” Bisognava combattere il neo-realismo come “arte” d’imposizione coercitiva, per una libertà nell’arte che allora veniva bollata quale formalismo, borghesismo, quando non anarchia. Già si avvertiva nel campo della sinistra culturale quella progressiva sterilizzazione che coincideva sempre più in una mancanza di mordente attivo. Nel ‘48 avveniva di conseguenza: “la rottura del “Fronte Nuovo delle Arti” (Venezia), con precise dichiarazioni al ristorante all’Angelo, in un’atmosfera di tensione piuttosto esasperata. Nel novembre del 1950 a Venezia venne la Commissione Sovietica di Cultura. Dato il mio passato di guerra quale partigiano nelle Brigate Garibaldi (…) potei parlare e anche questo ricordo nel mio Diario del 1955: “Ritengo sia giusto domandare a loro qualche cosa, pur avendo seguito la polemica di Zdanof, voglio sentire come e perché si erano liberati da quella pittura che era stata portata avanti da artisti rivoluzionari quali: Malewitsc, Larionov, Gonciarova… suprematisti, radiantisti, etc… futuristi etc… Mi risposero che avevano aperto dopo la rivoluzione delle mostre di questa pittura e che il popolo non l’aveva accettata” Il neo-realismo in Italia venne perciò rafforzato dall’approvazione ufficiale delle autorità staliniste e non mi risulta che molti di quelli che oggi o recentemente si sono finalmente convinti alla destalinizzazione nell’arte, facessero allora un’opposizione, e neppure una resistenza (come in simile situazione avvenne invece in Polonia proprio con gli artisti iscritti al Partito, quali la pittrice Maria Jerema, e vari altri). Anzi qualcuno di questi accettò ben volentieri la medaglia di condottiero del neo-realismo. Fu proprio il fatto che fosse la sola azione anti neo-realista del ‘52 alla Biennale, che mi convinse a entrare nel gruppo degli “8”, presentato da Lionello Venturi, gruppo che per tutto il resto mi era abbastanza estraneo come tendenza (…) Vera soddisfazione per me fu quindi l’invito ufficiale della Polonia nel 1958, per una mia grande personale a Varsavia, al Palazzo delle Esposizioni di “Zachenta”. Questo perché (…) furono primi i polacchi a tentare di sbloccare la situazione, in questo caso organizzando con intenti precisi la mia mostra, (primo pittore straniero non figurativo in Polonia, al di là della così detta “cortina di ferro”), con una pittura di evidenti contenuti anche di lotta. Con titoli precisi delle opere, che non erano mai piaciuti ai neo-realisti in Italia, intenti come erano a prendersi il monopolio della rivoluzione, tutto nelle loro mani. Sconquassando quell’unità culturale che, nel dopoguerra il Politecnico di Vittorini tentava di impostare (…) Allora i “commessi viaggiatori” fummo noi, e dico noi perché nelle sale del Palazzo di “Zachenta” dove erano esposti i miei quadri, venne dato per nastro un concerto di musiche di Luigi Nono (…) Facemmo allora palese ancora una volta (…) la nostra opposizione al dirigismo nell’arte, con il pubblico che gremiva le sale dove erano molti russi (…) Esperienza dunque vissuta, e non mi puoi trovare che ancora una volta solidale per affrontare anche nel campo della pittura quella liberazione che in Russia (…) è confermata necessaria al più presto (…) Caro Vigorelli, mi auguro che questa sia un’apertura complessa per arrivare a una forte provocazione e aiutare così dal di fuori, quanti in Russia già hanno avvertito la possibilità di una vera destalinizzazione anche nel campo della pittura. Io ho fiducia (…)
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