D’Annunzio, Gabriele: 3 lettere autografe firmate indirizzate a Giovanni Rizzo, l’«occhiuto carceriere» secondo la definizione dello stesso Vate che Mussolini mise alle costole del poeta, per controllarlo, e riferirne azioni, pensieri, annusando con fiuto da segugio anche tra le lenzuola del Vittoriale. Rizzo era pure incaricato di difendere il Comandante dai seccatori, cercando di allettarlo con le più incredibili proposte, come le speculazioni sulle emissioni filateliche della Reggenza del Carnaro, l’effimero governo fiumano di D’Annunzio. Il messinese Rizzo giunse sulle rive del Garda nel settembre del 1923, per indagare su un furto di gioielli, e da allora non si scollò mai più dalla Villa di Cargnacco e dal suo inquieto padrone. Ne sortì un rapporto, per definizione ambiguo, con D’Annunzio che, se da un lato tentava di ingraziarsi il suo guardiano, dall’altro lo manipolava per far giungere a Mussolini i messaggi che gli premevano. Il Comandante, così, si prendeva gioco del suo don Giovanni di Sicilia, che, in segno di deferenza, lo omaggiava con garofani rossi e agrumi. Le lettere riguardano i contatti con l’editore Mondadori e i problemi relativi alla stampa dell’opera omnia del Vate; D’Annunzio si occupò personalmente della gestione della grandiosa impresa editoriale da lui voluta e alla quale pretese di affiancare, alla fine del 1930, un’edizione popolare dei suoi scritti a costo minore e quindi a più larga diffusione.
Il 21 giugno 1926 fu annunciata la nascita dell’Istituto Nazionale per la pubblicazione di tutte le opere di Gabriele d’Annunzio. L’impresa recò a Mondadori il prestigio culturale e politico, editoriale e grafico che ancora mancava alla giovane casa editrice: segnò l’inizio dell’ascesa verticale, in qualità e quantità, di tutta la produzione dell’ex tipografo di Ostiglia. Il grandioso progetto è concepito da Arnoldo Mondadori agli inizi degli anni ’20: editore emergente, fiuta nell’accaparrarsi l’opera del Vate la grande occasione per la definitiva consacrazione tra gli editori più influenti d’Italia. D’Annunzio è reduce dalla fallimentare impresa di Fiume, è stanco, malato; si è appena imbarcato nel grande sogno del Vittoriale: è del 1921 l’acquisto della Villa di Cargnacco: iniziano i lavori di ristrutturazione, che richiedono grandi capitali, per non parlare dello stile di vita non propriamente sobrio del poeta. La proposta di Mondadori giunge perciò al momento giusto: oltre alla promessa di principeschi anticipi e enormi guadagni, l’idea di un monumento editoriale che renda imperitura la sua fama dopo le delusioni del suo impegno politico tocca le corde giuste nell’animo del poeta. Ci vogliono 5 anni per rescindere il rapporto decennale con l’editore Treves, ma nel giugno 1926 si arriva alla costituzione dell’Istituto nazionale per l’edizione di tutte le opere di D’Annunzio, patrocinato da Vittorio Emanuele III e con presidente onorario Benito Mussolini: parte l’impresa. D’Annunzio stesso stila il piano dell’opera che viene pubblicato, come spesso accade, stampando il fac-simile del manoscritto (e vale la pena di citare un incidente editoriale relativo a questo volume del Programma stampato nel 1927: le prime cinquanta copie portate da Mondadori al Vittoriale nel giorno del solstizio, presentano un gravissimo errore: nell’elenco delle opere manca La Nave. Conosciamo l’ira di D’Annunzio dalle sue infuocate lettere).
La tiratura sarà di 2501 esemplari su carta velina prodotta manualmente dalle Cartiere Pietro Miliani di Fabriano, con la filigrana contenente il più celebre motto dannunziano, “Io ho quel che ho donato” racchiuso nella cornucopia; 209 copie stampate al torchio su carta imperiale del Giappone, 6 esemplari stampati su pergamena, fuori serie, di opere indicate dall’autore e infine solo 3 esemplari stampati su pergamena e rilegati in pieno marocchino destinati al Re, a Mussolini e allo stesso D’Annunzio. Ma chi sarà lo stampatore all’altezza di questa impresa? All’inizio il più papabile appare Raffaello Bertieri, tra i più famosi tipografi italiani dell’epoca, ma, grazie anche alla mediazione di Francesco Pastonchi, curatore dell’opera, alla fine la scelta cade su Hans Mardersteig, il mitico fondatore nel 1922 dell’Officina Bodoni a Montagnola in Svizzera, e fautore di quella riproposizione dei caratteri Bodoniani che già avevano convinto il gusto estetico di D’Annunzio, quando scriveva in un telegramma all’editore: La questione dei caratteri bodoniani è degna d’essere meditata. Non vale la pena di adoperare i caratteri comuni. Voglio quelli della Tempesta di Shakespeare, riferendosi al magnifico The Tempest stampato al torchio da Mardersteig nel 1924. Dopo una sorta di fittizio concorso, l’opera è assegnata al tipografo tedesco; è questa l’occasione per lui di trasferire la sua impresa in Italia, non a Firenze, come aveva progettato, ma a Verona, dove è la sede della Mondadori: Mondadori acquista per 60.000 franchi svizzeri tutto il materiale dell’Officina Bodoni, fa incidere ex novo le matrici dei caratteri bodoniani per adattarli alla stampa su macchina e parte il lavoro nelle officine veronesi. Ci vuole un decennio per portare a termine l’impresa.
a) Lettera autografa firmata di 3 pagine (28,5 x 19,5 cm.) stampate su carta uso mano con il motto in alto a sinistra “io ho quel che ho donato: 18. 12. 1926. Carta lievemente ingiallita. Conservata la busta. Fori per archiviazione lontani dal testo. (…) nell’aprire la lettera dell’editore Mondadori, ho veduto che gli assegni bancari sono datati dal 3 gennaio e non possono essere pagati se non il 13! Per accordo stabilito “ufficialmente” io debbo avere in questo dicembre il compimento di quel che m’è dovuto per la cessione di tutte le mie Opere all’Istituto Nazionale. Ma l’Istituto è divenuto il gioco di uno scaltro editore – al quale è anche lecita questa recentissima beffa bancaria. Credo che, avendo oltrepassato il limite della mia pazienza, manderò al diavolo il signor Mondadori “bluffiste” – come direbbero i franciosi – e mi renderò “postumo”…
b) Lettera autografa firmata due volte di 5 pagine su 4 fogli (27,5 x 22,5 cm.) di carta uso mano. Conservata la busta con indirizzo. La lettera è datata 22 ottobre 192… Fori di archiviazione lontani dal testo. (…) La mia lettera al Capo (Mussolini) gli rammentava – con abbondanza di cuore – la sua promessa di conferire il “laticlavio” a uno dei più nobili e sagaci suoi servitori: ad Alfredo Felici. (V’è una elezione di senatori il 28!) Non v’è il più lieve accenno nella sua lettera di Forlì. Si tratta di una forma evasiva? Non so. Ne parleremo. Intanto, proprio ora, ricevo l’accluso telegramma, che mi riempie di furore e di dispregio. Ignoro tutto. Chi dunque ha osato compiere questa grossolana ruberia? Il malfattore Mondadori? Ed è permesso questo contro di me oggi in Italia? E’ necessario operare senza indugio. E’ urgente che intervenga personalmente il Capo del Governo e punisca lo spocchiosissimo trasgressore. La prego di mettersi in azione, e di darmi notizie, tanto mi pare incredibile la improvvisa notizia. Mi rivolgo alla sua devozione … Il telegrafo è chiuso. Cerchi di comunicare all’avv. Felici la mia indignazione e il mio ordine di immediato sequestro e di immediato castigo…
c) Lettera autografa firmata di 2 pagine (27 x 22, 5 cm.) su carta uso mano. Conservata la grande busta con indirizzo. Fori di archiviazione lontani dal testo. 22 ottobre (…) approvo – non senza gratitudine – la sua partenza per Milano. Bisogna fare una richiesta severa, e cominciare le prime azioni legali. Sarò inesorabile. Se si tratta del Mondadori, io lo metterò al bando. E non esiterei a chiedere la sua fucilazione, per il peggiore dei delitti, che è il delitto contro lo Spirito. La prego di recare a … questa … Confido. Attendo (…)
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