Pindemonte, Ippolito: lettera autografa firmata (24 x 18,5 cm.) indirizzata al conte Alfonso Belgrado di Udine: mezza pagina datata Verona 1804. In quarta indirizzo autografo di Pindemonte e timbri per spedizione. Ben conservata.
Le mando un esemplare della mia tragedia, che finalmente ho stampata. Io la prego di aggradirlo, e di scusarmi, se non mi allungo. Per questo io non sono men pieno di quella stima sincera ed affettuosa, che da tanto tempo le professo, e che le professerò eternamente…
Nel 1804 Pindemonte pubblica la tragedia Arminio, in cui si nota l’influenza della poesia ossianica. La poetica di Pindemonte, seppur classicista, ha in sé un’inquietudine, uno spirito melanconico: a tal proposito va citato il testo esemplare della sua poetica, La melanconia (“Melanconia, / Ninfa gentile, / La vita mia / Consegno a te. / I tuoi piaceri / Chi tiene a vile, / Ai piacer veri / Nato non è.”) tratta dalle Poesie campestri, e la descrizione fatta dal Foscolo nei Sepolcri: “Nè da te, dolce amico, udrò più il verso / E la mesta armonia che lo governa” – e una vicinanza ai temi sentimentali, che a tratti lo accostano alla nuova poetica romantica: per questo fu considerato dai romantici italiani come Manzoni e Leopardi un precursore della nuova sensibilità, sulla scia dei poeti cimiteriali inglesi del Settecento Edward Young e Thomas Gray. Il musicista Vincenzo Bellini mise in musica una strofa de La melanconia nel lied Malinconia, ninfa gentile.
Nel Settecento, a Bassano, villa Roberti apparteneva al conte Guerrino Roberti, uomo colto e di fine ingegno, che riuniva nel suo palazzo una dotta ed erudita compagnia di nobili ed ecclesiastici non solo del luogo. Fu in questo clima vivace culturalmente che visse la di lui figlia Francesca, destinata a diventare una pastorella arcade con il nome di Egle Euganea, animatrice del cenacolo di letterati ed eruditi che presso di lei si riunivano. Francesca Roberti, fine poetessa e traduttrice, ebbe una formazione improntata alla conoscenza degli autori classici italiani e latini; amante del Petrarca, si dedicò soprattutto a tradurre opere di autori greci e stranieri, coniugando questa scrittura con quella in prosa e in poesia. Fu animatrice del salotto in cui, come abbiamo detto, convergevano i più noti letterati ed artisti, ad esempio Melchiorre Cesarotti, Ippolito Pindemonte e Jacopo Vittorelli. Si trasferì a Padova nel 1766 a seguito del matrimonio con il nobile padovano Andrea Franco, da cui ebbe un figlio, Ludovico, che, diventato giacobino, dissipò il patrimonio della famiglia e costituì il suo più autentico dolore. Tra i molti rapporti che la Roberti intrattenne ci fu il friulano Alfonso Belgrado. Nell’Archivio di Stato di Udine sono conservate otto lettere autografe della Roberti indirizzate al nobile Belgrado di Udine. Non sappiamo come si stabilì la relazione amicale tra la Roberti e il Belgrado, probabilmente determinante fu la frequentazione dello stesso ambiente culturale e la comune passione per la poesia e la letteratura. Scarse le notizie su Alfonso Belgrado. Sappiamo che la famiglia dei Belgrado, detta dei Filippini, era nota per avere la dimora presso quell’Istituto monastico in Udine. Alfonso era figlio di Giacomo Belgrado (27 settembre 1734-3 aprile 1821), cancelliere di Patria e di Terzia Mantica (nata il 30 settembre 1767), e discendente di Jacopo Belgrado (1704-1789), gesuita, professore di matematica e fisica all’Università di Parma, autore di opere di carattere scientifico e teologico. Alfonso ricopriva anche la carica di notaio cancelliere della Curia diocesana di Udine, dov’era fidato collaboratore del monsignore della città Pier Antonio. Risulta che svolgeva le mansioni di Segretario dell’Accademia dei Filomazi di Udine e in quella degli Asciti della medesima città, a cui collaborava anche come poeta e scrittore. In alcune annotazioni delle Memorie del Gennari, troviamo traccia anche della sua attività di fisico e matematico; certo è che il Belgrado rappresenta, con la sua duplice attività di fisico, da un lato, e di letterato, dall’altro, quel binomio scienza-letteratura che aveva trovato voci rappresentative già nel secolo precedente.
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