Amari, Michele: Lettera autografa firmata indirizzata al barone Michele Chiarandà di Friddani, esule in Francia dal 1820, con il quale Amari si confronta sulle vicende relative al governo rivoluzionario di Sicilia e alla sua legittimazione in Italia e all’estero: 3 pagine datate Londra 1848.
(…) Siamo in quei termini in cui debbono e possono stare compatrioti galantuomini e amici antichissimi (…) e da quanto ho inteso e veduto io non ho altro che lodarmi dello zelo di essi (Granadelli e Scalia) per la patria. Spesso si trova con noi il colonnello d’Amico e sempre il nostro (?) Al mio primo arrivo proprio mentre mettevo il piede in casa loro eccoti una visita, di chi? Il marchese Salva. Mi alzai ipso facto e me ne andai (…) e poi sgridandomi mi dissero che io venia a litigare sempre, che per maltratti che gli avessero fatto non desisteva anche avendolo consegnato alla parte contro (…) Ieri per impiegare utilmente al paese e a noi stessi la speventosissima domenica di un paese protestante andammo a vedere la fregata a vapore nostra che si costruisce a North (…) Ci accompagnò d’Amico e per quanto può giudicarne un laico dopo averla esaminata per ogni luogo e guardata in tutti i buchi, mi parve bella. Solo osserva d’Amico che sia troppo stretta per obbedire squisitamente al (…) di un combattimento: e io solo mi dolgo che non potrà essere pronta in 15 giorni. Sarà varata il 26 o qualche giorno più tardi. Sarà finita quando? (…) In dicembre cioè quando probabilmente diverrà oggetto di lusso per la Sicilia. Ma contro il fato non si ha rimedio. Il Vectis che è nell’isola di Wight sarebbe pronto prima come mi assicurano; ma io mancherò di andarlo a vedere. Intanto qui sto cercando di avere a prezzi ragionevoli le artiglierie montate per ambo i legni (…) Mi pare di averle scritto sabato (…) che erano venuti a trovarmi Panizzi e Libri il quale (…) si mostrò innamorato ardentissimo della causa siciliana (…) W la Sicilia (…)
Michele Chiarandà barone di Friddani fu una delle figure di maggior rilievo tra gli esuli rifugiatisi a Parigi dopo i moti carbonari del ‘20 – ‘21. Convinto assertore dell’autonomia dell’isola, quando nel 1848 gli fu proposto di rappresentare il governo rivoluzionario siciliano presso la seconda Repubblica francese, Chiarandà pose a disposizione del proprio paese tutte le sue capacità e tutta la sua esperienza: e proprio in funzione di questo delicato compito Michele Amari si rivolge a lui. Friddani aveva chiara la visione dei fatti in quel caldo 1848; aveva già intuito i desideri espansionistici del re di Sardegna che nascondeva sotto l’idea di unificazione italiana le proprie mire; per questo egli era favorevole all’unione degli Stati italiani. Attraverso i contatti col Chiarandà, Amari, sicuro che la rivoluzione siciliana sia ormai certa e che nessuno possa opporsi, tenta di ottenere le informazioni necessarie a capire su quali uomini e su quale nazione si possa contare per ottenere un chiaro riconoscimento allo Stato siciliano. Egli si sta dando da fare a Londra per il varo di una fregata a vapore, che sarà pronta solo a dicembre (troppo tardi?) e per l’acquisto dell’artiglieria: incontra i tanti patrioti e amici della causa siciliana e, in qualità di rappresentante del governo rivoluzionario, i ministri inglesi, tra i quali Lord Palmerston.
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