Antologia. Giornale di scienze, lettere ed arti.
Fondata a Firenze dall’editore ginevrino Gian Pietro Vieusseux, iniziò le pubblicazioni nel gennaio 1821. La rivista aveva periodicità mensile, ed i fascicoli sono in formato 8°. L’ultimo numero uscì nel dicembre 1832. Si dispone di tutto il pubblicato, 144 fascicoli: i primi 5 sciolti, in brossura editoriale, in barbe; dal numero 6 al numero 12 i fascicoli sono legati in due volumi in mezza pelle, con carta decorata (tracce di tarli alle prime e ultime carte); il fascicolo XI, doppio, è anche in brossura editoriale. L’anno 1822 è a fascicoli sciolti in brossura editoriale, in barbe, ad eccezione del numero 21 inserito in un volume in mezza pelle coeva, con altri due fascicoli che risultano doppi. Dal 1823 la rivista è raccolta a gruppi di tre fascicoli, legati uniformemente in mezza pelle coeva con nervi al dorso, decorazioni oro e a secco; piatti in carta marmorizzata: grandi margini e ottime condizioni di conservazione; fanno eccezione i numeri di gennaio, febbraio, aprile, maggio, giugno, agosto, settembre, ottobre, novembre, dicembre del 1830 e gennaio, febbraio, marzo, maggio, giugno, luglio, ottobre, novembre dicembre del 1831, tutti in barbe, in brossura originale, e l’annata 1832, in barbe, in brossura originale. Raro: ben conservato.
Il fondatore, il direttore, l’anima stessa del giornale era Gian Pietro Vieusseux. Profondo conoscitore dei problemi del mondo, viaggiatore instancabile, commerciante di successo, si era ben presto accorto dell’importanza della cultura, dei libri e dei giornali. In tal senso aveva dapprima fondato il gabinetto scientifico-letterario di Firenze, che vantava tra i suoi frequentatori gli uomini più celebri della cultura italiana ed europea del tempo; così fin dal 1819 Vieusseux sentì sempre più viva la necessità di un giornale che esprimesse le idee e le aspirazioni del gruppo di intellettuali che si era riunito intorno al gabinetto, in modo tale da dilatare fuori dai confini Toscani, il fervore di quel risveglio culturale, così attento e pronto a raccogliere gli echi della più moderna civiltà europea. Ma fondare una rivista quando nell’Italia meridionale era in corso la rivoluzione e l’Austria aumentava la sua vigilanza, non era cosa facile. L’importante era non allarmare il buon governo toscano, cioè la polizia, e ottenere l’autorizzazione. Di qui l’annuncio di una semplice raccolta antologica, costituita essenzialmente da traduzioni, su temi in prevalenza letterari; e la scelta del titolo rendeva bene l’idea.
Anche il Manifesto della rivista fu di una ben calcolata prudenza. E i primi numeri dell’”Antologia”, apparsi nel 1821, assunsero in effetti questa non allarmante fisionomia. Gli argomenti di politica, educazione, economia furono, per qualche tempo, accuratamente evitati. Ma già dalla fine del 1821 gli articoli si fanno più interessanti: sono quelli scientifici o letterari di Ridolfi, Antonio Benci, G. B. Niccolini. Fra i temi trattati in primo piano quelli pedagogico-sociali. Nel 1822 la rivista ha già acquisito la sua fisionomia, il suo carattere, il suo prestigio. Lo sforzo del suo direttore di darle omogeneità d’indirizzo, di affiatare gli articoli tra loro, come a perseguire un unico programma ben concertato, dà i suoi frutti. Il direttore interviene di continuo per dare al giornale uno stile: il suo primo scopo, man mano più palese, è di fare un periodico essenzialmente italiano. Per quanto abilmente dissimulato anche lo spirito civile, liberale-patriottico della rivista e del direttore comincia a trasparire. L’evoluzione stessa delle questioni politiche in Italia, e in Europa, porterà l’”Antologia” e il suo fondatore ad un atteggiamento sempre più antiaustriaco; e, di conseguenza, si verrà rafforzando sia pure con circospezione, una larvata propaganda di italianità. Nel 1829 Mayer invocherà l’unità morale degli italiani, alla quale non fanno violenza le sciagure dei tempi: la sola unità che si può conseguire, dal momento che ancora non è dato aspirare ad una unità politica. Era insomma, un parlare sempre più chiaro.
Questo atteggiamento non poteva che puntare sulla rivista gli sguardi attenti della censura governativa, e moltiplicare gli ostacoli alla sua diffusione fuori dai confini toscani. Vieusseux era esasperato dalla lentezza della distribuzione dell’”Antologia”, dagli eccessivi dazi postali, dal divieto di recapito, dai sequestri, dalle noie giudiziarie. Per tutti questi intralci la diffusione del periodico era forzatamente ridotta. Ancora nel 1828, quando la sua rinomanza era alle stelle, e non solo in Italia, Vieusseux confidava a Dragonetti: Tutto il regno Lombardo veneto non mi chiede che sole 40 copie; ed il Regno di Napoli copie 5! L’”Antologia” è un giornale diverso dai precedenti: la forte impronta di Vieusseux che si sovrappone agli autori spinti ad amalgamarsi tra loro, porta alla luce una nuova concezione del giornale come impresa e del direttore come imprenditore: assoluta novità per il tempo fu il pagamento di compenso per i collaboratori. Frutto del fiuto di Vieusseux fu anche la scelta di circondarsi di due redattori fissi, di assoluto valore: Giuseppe Montani e Tommaseo, oltre che di altri scrittori di indiscusso valore su cui il direttore mise l’occhio: sull’”Antologia” compare il primo importante scritto di Carlo Cattaneo e gli articoli del giovanissimo Mazzini. E con loro Vieusseux cercò di raccogliere i migliori intelletti dell’epoca: Pietro Giordani collaborò al periodico, insieme a Foscolo, Gabriele Pepe e Pietro Colletta, ad esempio; mentre del Leopardi, Vieussex non riuscì ad ottenere la collaborazione, ma sulle pagine dell’”Antologia” furono stampate per la prima volta alcune delle Operette morali.
Sempre più col passare degli anni le pagine della rivista erano un inno ai prodigi dell’età moderna. Ecco cosa ne scrisse in proposito Giuseppe Montanelli, qualche anno dopo la chiusura, in un illuminante articolo: L’Antologia patrocinò costante la causa della diffusione dei lumi contro i municipali, della tolleranza religiosa contro i fanatici, delle riforme legislative contro i retrogradi. Pose fine alle questioni sulla lingua, agitate fra i cruscanti di Firenze e i letterati lombardi; fece guerra alle arcadie; insegnò alla letteratura scopo civile. E l’infatigabile giornalista seguì per dieci anni l’opera sua frammezzo a ostacoli d’ogni genere, dovendo disputare palmo a palmo il terreno alla censura fratesca, schermirsi dalla persecuzione dei birri e della diplomazia, tollerare le irritabilità letterarie, passare per timido amico di libertà presso i rivoluzionari di poltrona.
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