Pesaresi, Marco: Ospedale di Reggio Calabria. Lavori in corso. Fotografia originale a colori dalla serie Ospedali italiani, senza data ma anni Novanta. Stampa d’epoca su carta politenata: 23 x 30,5 cm. Al retro etichetta Marco Pesaresi e tracce di altre etichette. Ben conservata. Rare le fotografie di Pesaresi in stampe d’epoca. Euro 300
Soltanto ora ho capito che Marco Pesaresi era Orfeo. Il poeta che ammutolisce le bestie feroci e che strega i mostri, che ipnotizza gli spettri inferi, in verità è una fiamma. Orfeo scende nell’Ade con la poesia, con un falò tra le labbra. La macchina fotografica di Pesaresi è sempre stata una torcia. “Vorrei dedicare questo libro al sole”, scrive, nell’ultima pagina del suo lavoro più noto, Underground (1998). Le date e i riferimenti ghiacciano per poliedrica potenza. Pesaresi ha portato il fuoco nelle metropolitane di tutto il mondo: è sceso agli inferi distribuendo il sole, come fosse pane. Era attratto, credo, da ciò che precipita, dalla vita nel sottosuolo, dal suo codice contraffatto, dalla tribù che abita quel nonsenso in attesa di leggenda; quel gregge di uomini perduti, in rincorsa. Era attratto, anche, dalla resurrezione – e dalla strana luce, uniforme, albina, delle metropolitane, da giudizio anticipato, astratta, anomala, per ciechi. “Ho cominciato a fotografare nella metropolitana quando vivevo a Londra nel 1991”, scrive Marco, aveva 25 anni, l’anno prima entra in Contrasto. Esattamente dieci anni dopo, intorno al Natale del 2001, Pesaresi vola nel porto di Rimini, sceglie la morte per acqua. In quel turbine di anni, Pesaresi, il fotografo orfico, viaggia in ogni angolo del globo: un inseguimento lo anima. Berlino, Mosca, Calcutta, Tokyo… i suoi servizi sono acquistati dalle più importanti testate internazionali. Di Pesaresi, forse, piace che fotografando redime. Porta il fuoco, appunto: sutura colpe e ferite; gli uomini, nelle sue immagini, paiono pellegrini assiderati nell’assoluto…
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