Prezzo: disponibile a richiesta
Autore: D'Annunzio, Gabriele
Titolo: L'uomo che rubò la Gioconda
Editore: Roma
Data: 1938

D’Annunzio, Gabriele: L’uomo che rubò la Gioconda, Roma, La Fondazione del Vittoriale degli Italiani, 1938, 25 x 18,5 cm. Brossura editoriale legata a mano con cordoncino; pp. 54, (2) stampate su carta Fabriano con la filigrana “per non dormire”. Tiratura di 100 esemplari numerati fuori serie. Intonso. Rara edizione originale.

Vincenzo Peruggia era un imbianchino che lavorava all’interno del museo del Louvre di Parigi. È considerato oggi come l’uomo che rubò la Gioconda perché nel 1911 prese il celebre quadro di Leonardo Da Vinci dal museo parigino Louvre e lo portò a casa sua, dove lo nascose per diverso tempo. Il ladro conosceva tutto del museo, le guardie ed i vari turni ed aveva studiato un piando dettagliato per prelevare l’opera, che aveva esposto lui stesso in una teca qualche tempo prima. Aveva approfittato della distrazione di una guardia per prenderla ed infilarla nella sua giacca. Il dipinto era dalle piccole dimensioni di conseguenza era facile da nascondere. Per crearsi poi un alibi la sera prima del furto, Vincenzo aveva finto di essersi ubriacato con degli amici. Durante la notte aveva poi prelevato il quadro ed era rientrato a casa, cercando di non farsi notare da nessuno, neanche dal proprio cugino che viveva con lui. La notizia dell’accaduto si rivelò scioccante per tutti. In molti vennero accusati del furto. Tutti ad eccezione del vero colpevole. Inizialmente la Germania era stata accusata di aver rubato la Gioconda. Tra la Francia e la Germania non scorreva un buon sangue e il furto poteva essere un ottimo pretesto per scatenare delle guerre diplomatiche. Successivamente era stato accusato Apollinaire, che aveva proclamato più volte di voler distruggere tutte le opere antiche per lasciare spazio a quelle che erano il futuro. L’obiettivo di Peruggia era quello di restituire il quadro agli italiani, in quanto era convinto che Napoleone durante le sue conquiste avesse rubato la Gioconda per poi custodirla in Francia. In realtà ai suoi tempi Leonardo Da Vinci aveva semplicemente venduto il quadro ai francesi. Vincenzo aveva quindi portato il quadro in Italia e lo aveva fatto vedere ad un antiquario, che però traendolo in inganno lo aveva fatto arrestare; subì un lungo processo, ma non venne condannato per infermità mentale e in quanto aveva agito soltanto per scopi patriottici; finì comunque in prigione per un anno. Quando Vincenzo ebbe scontato la sua pena pensò di essere un uomo finito, senza futuro. Venne invece considerato come un eroe nazionale dai suoi compatrioti. Tom Antongini, segretario di D’Annunzio, sostenne che la Gioconda passò fra le mani del poeta il 14 settembre 1911, quando il Peruggia andò ad Arcachon per affidargli il quadro, e che Lafitte, proprietario del quotidiano “L’Excelsior”, voleva accaparrarsi il nuovo romanzo intitolato L’uomo che rubò la Gioconda. D’Annunzio stesso contribuì alla confusione scrivendo nel Libro ascetico una frase sibillina: (…) la Gioconda fu da me restituita per sazietà e per fastidio, come tutti sanno e come tanti temono di approfondire. Piero Chiara nel libro Vita di D’Annunzio non escluderebbe un contatto, nel 1913 a Parigi. Scrive: Parrebbe che D’Annunzio avesse consigliato il Peruggia a illustrarsi con un gesto sensazionale: la restituzione dell’opera all’Italia. E più avanti: Avuto un indirizzo, scrisse a Firenze e combinò il noto appuntamento in seguito al quale venne intrappolato. E ancora: Il Peruggia non poteva conoscere dell’esistenza del Geri (l’antiquario), il quale invece era un vecchio amico di D’Annunzio che aveva comperato da lui buon numero dei mobili andati all’asta della Capponcina. Impietosamente, Chiara conclude: La ragione della trappola tesa al Peruggia poteva nascondersi nel disegno dannunziano di conseguire attraverso il Geri ed eventualmente spartendola con lui, l’ingente taglia stabilita dal governo francese per il recupero del capolavoro. Taglia che non risulta sia stata mai pagata, o perché del recupero non si poteva far merito che alla dabbenaggine del Peruggia, o per altre ragioni che è arduo indagare a distanza di tanto tempo.

Richiedi Informazioni