Palazzeschi, Aldo: : riflessi, Firenze, Cesare Blanc, 1908, 19,5 x 13 cm. Brossura editoriale; pp. 184, (2). Lievi ingialliture a poche pagine e impercettibile scoloritura al dorso per esposizione alla luce. Esemplare mai letto, in ottimo stato di conservazione. Edizione originale.
Prima opera in prosa di Aldo Palazzeschi stampata in 500 esemplari a spese dell’autore presso lo Stabilimento Tipografico Aldino con il nome dell’editore fittizio Cesare Blanc, che altri non era che il gatto dello scrittore. Le spese complessive di stampa ammontarono a 435 lire. Il romanzo è stato raccolto nel 1943 nell’antologia Romanzi straordinari insieme ad altri due ben noti romanzi, Il codice di Perelà e La piramide. Si tratta di un romanzo epistolare alquanto insolito, secondo quanto afferma lo stesso Palazzeschi: «A un primo tempo serio segue una coda comica: il contrasto tra le parti permette al nuovo gioco della parodia e della dissacrazione di investire retrospettivamente la prima parte, rovesciando la materia tragico-patetica del romanzo». I due punti che precedono il titolo collegano il romanzo alla poesia Gioco proibito, presente in Lanterna. Il componimento in questione, infatti, riporta per ben due volte il sostantivo in fine di verso (qui con l’iniziale maiuscola) preceduto dal segno di interpunzione: «Un raggio vien fuori dal mezzo di luce giallastra: / sul raggio soltanto rimangono lievi impalpabili / impronte sfumate di luci, di nebbie: Riflessi.», vv. 7-9; «Vi passan leggere davanti / le impronte sfumate di luci, di nebbie: Riflessi.» I due punti rimandano dunque al passato: a un pensiero in nuce già espresso che ora riappare alla memoria confuso e necessita di parafrasi, a una luce la cui fonte è nascosta e non è possibile osservarla se non attraverso il suo riflesso. E da lì il lettore dovrà partire per incominciare un nuovo viaggio di formazione e di esplorazione interiore, un’approfondita analisi al microscopio della propria anima grazie alle potenti lenti messe a disposizione dall’autore. Al «gioco dei “riflessi” […] interno al testo, con parallelismi tra il mondo dei morti e il mondo dei vivi», scrive l’autore, corrisponde un «gioco dei “riflessi” […] esterno al testo, sì da rinviare al rapporto speculare personaggio-autore». La scrittura, ancora lontana dalle sperimentazioni linguistiche e stilistiche che domineranno Il Codice di Perelà, rivela una sensibilità malinconica e disincantata che tocca le corde del cuore e fa rientrare il romanzo in quella parentesi letteraria che Massimo Bontempelli definirà «l’ultima e la più folgorante espressione del romanticismo». Sarà lo stesso Palazzeschi, mezzo secolo dopo, a presentare ai suoi lettori il libro, rivisitato dall’autore e pubblicato in una nuova edizione con il titolo Allegoria di Novembre: “Allegoria di Novembre”, quello che io chiamo il mio romanzo liberty, ho voluto che fosse compreso in questa raccolta perché, con una forma che risente in certo modo il gusto di quel tempo e che non doveva essere poi l’espressione giusta della mia personalità, rispecchia fedelmente una giovinezza turbata e quasi disperata. E tale fu la mia fino al giorno che tale disperazione e turbamento come per un miracolo, come per virtù di un incantesimo del quale non saprei io stesso spiegare il mistero (approfondita conoscenza della vita, degli altri e di me stesso?) si risolsero in allegria. E pur rimanendo un solitario fedele e geloso della mia solitudine, fui da quel giorno molto allegro (…) Poche persone in questo mondo risero quanto io ho riso, e tale ho saputo conservarmi fino alla vecchiezza. Il romanzo parte dalla koiné della narrativa coeva (…) per liberarsene. Dalle sembianze di un dannunziano eroe di provincia scivola fuori un antieroe nuovo, proiettato verso la modernità novecentesca.
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