Quasimodo, Salvatore: Poesie, Milano, Edizioni Primi Piani, 1938, 22,5 x 15 cm. Brossura editoriale; pp. 198, (2). Con un saggio di Oreste Macrì sulla poetica della parola e bibliografia a cura di Giancarlo Vigorelli. Esemplare ottimamente conservato. Edizione originale.
Nel 1934 grazie all’interessamento del poeta Angiolo Silvio Novaro, Quasimodo, dipendente del Genio Civile, ottiene il trasferimento a Milano, dopo una breve parentesi in Sardegna. Il mio nuovo capo non sopportava i poeti, e mi confinò in Valtellina, racconta Quasimodo. Ogni sera, comunque, io tornavo a Milano e vivevo tra pittori, scrittori, giornalisti, scultori, musicisti: Persico, Arturo Martini, Cantatore, Sinisgalli, Messina, Carrieri, Rognoni, Tofanelli, Sassu. Di giorno ci si incontrava alle Tre Marie, di sera al Biffi e, dopo una baruffa, al Salvini. Nel 1938 Quasimodo lascia definitivamente il Genio Civile, per dimissioni, dopo essere stato per 12 anni geometra straordinario: non riceve dallo stato alcuna liquidazione. Comincia a lavorare come segretario di Cesare Zavattini in un’attività editoriale. Esce a Milano, dopo lunga attesa da parte di Quasimodo, per le edizioni di Primi Piani (l’editore è il suo amico ed estimatore Tofanelli) la prima importante raccolta antologica della poesia quasimodiana, Poesie, preceduta da un essenziale discorso introduttivo di Oreste Macrì sulla poetica della parola. E’ l’occasione per il poeta di risistemate il suo corpus poetico e di editare gli ultimi versi scritti.
(…) Il poeta non esiste come partecipazione letteraria se non dopo la sua esperienza d’”irregolare”. Naturale e innaturale frattura d’una consuetudine metrica e tecnica, il poeta modifica il mondo con la sua libertà e verità. La voce di Omero esiste prima della Grecia, e Omero “forma” la civiltà della Grecia. (…) Il poeta è un uomo che si aggiunge agli altri uomini nel campo della cultura, ed è importante per il suo “contenuto” (ecco la grave parola) oltre che per la sua voce, la sua cadenza di voce (subito riconoscibile se imitata). Il poeta non “dice” ma riassume la propria anima e la propria conoscenza, e fa “esistere” questi suoi segreti, costringendoli dall’anonimo alla persona. (…) Scrivere versi significa subire un giudizio: quello estetico comprende implicitamente le reazioni sociali che suscita una poesia. Conosciamo le riserve a queste enunciazioni. Ma un poeta è tale quando non rinuncia alla sua presenza in una data terra, in un tempo esatto, definito politicamente. E poesia è libertà e verità di quel tempo e non modulazioni astratte del sentimento… Salvatore Quasimodo
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