Tobino, Mario: Il figlio del farmacista, Firenze, Vallecchi, 1963, 22 x 13,5 cm. Brossura editoriale con sovracoperta; pp. 148. Cedola libraria conservata. Copia appartenuta a Giuseppe Ungaretti: dedica autografa firmata e datata (1963) di Tobino ad Ungaretti. Riedizione aumentata di una nota dell’autore e di una poesia.
Il figlio del farmacista è il romanzo d’esordio autobiografico del poeta, scritto nel 1938 e pubblicato per la prima volta nel 1942. Tobino racconta i primi anni della giovinezza trascorsa a Viareggio, la sua vita di studente che aiuta il padre lavorando nella farmacia dello stesso paese, la permanenza a Bologna per laurearsi in medicina, la sua passione per la poesia e per la scrittura, e infine la scelta di trasferirsi in manicomio. Tobino vivrà e lavorerà per quarant’anni nell’ospedale psichiatrico di Maggiano, contribuendo all’umanizzazione della struttura e alla sua apertura verso l’esterno, come testimonia la recente opera Maggiano. Gli anni del cambiamento. 1958-1968. Il figlio del farmacista è un romanzo breve, una sorta di raccolta di racconti, dove ogni capitolo è il ricordo appassionato di una fase della sua vita. Il registro narrativo cambia nei diversi capitoli: alcuni sono più descrittivi (quelli sulla farmacia del padre, ad esempio), altri più caratterizzati dal lirismo, altri ancora più ironici. Dal romanzo emerge la straordinaria sensibilità di uomo e medico di Tobino. Emerge inoltre il suo grande amore per la poesia, per la sua bellezza, per la gioia che sa donare ma anche per la sua sofferenza intrinseca. Tobino letterato nasce infatti poeta, e prima di quest’opera pubblica diverse raccolte di poesie, ottenendo ottimi riscontri dalla critica. Ecco allora che, in questo suo primo esperimento di scrittura in prosa, ritroviamo quella musicalità che è tipica della poesia, quel narrare non limitandosi all’evento in sé, ma arricchendo sempre il racconto con l’intensità dei sentimenti, le emozioni, il tono affettivo. Reinterpretando l’opera in chiave moderna, possiamo definirla, come fa Giulio Ferroni nell’introduzione alla più recente edizione, una autofiction, in cui l’autobiografia e la fantasia si intrecciano. L’ultimo capitolo del libro, Del perché del manicomio, definisce il legame forte che caratterizzerà le successive opere (tutte con importanti componenti autobiografiche) di Tobino, ossia quello tra la sua esperienza psichiatrica e la scrittura.
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