Zavattini, Cesare: La notte che ho dato uno schiaffo a Mussolini, Milano, Bompiani, 1976, 21,5 x 13,5 cm. Brossura editoriale; pp. 190, (2). Dedica autografa firmata e datata (1977) di Cesare Zavattini a Laura Mazza, segretaria personale di Arnaldo Mondadori: Cara Laura, grazie dell’accoglienza, dell’affettuosa “accusa” e arrivederci fra non sette anni… Due lievissime e piccole macchioline al retro di copertina. Edizione originale.
(…) A questo punto prendo un po’ di fiato e mi domando una volta di più che cosa voglio italiani, sgarrettarvi? sfiancarvi? abbacchiarvi? ambisco anzi che siate in stato di erezione dalla nascita alla morte con una fusione di scopate e di pensate da non sapere se scopi o se pensi tanto è lo stesso, auspico che un giorno sarà lo stesso. Cose superbe ci sono da fare purché non secondo il solito parvente fare (…) Zavattini da La notte che ho dato uno schiaffo a Mussolini.
Il libro fu definito da Zavattini stesso il vero e proprio seguito di “Non libro”. Il primo titolo pensato dall’autore era Quella notte che ho dato uno schiaffo a Mussolini e dopo piansi; fu mutato e ridotto perché non si pensasse ad un pentimento politico. La parte d’avvio del libro è un racconto fantastico-reale, dove torna il raccontare tradizionale dello scrittore, un raccontare che ti fa vivere i personaggi, le cose che li circondano, un modo di raccontare profondo nei significati e visivo, secondo Davide Lajolo. Tuttavia in questa struttura s’intersecano e si susseguono domande e risposte che s’intonano ad un saggio critico e a un tempo autocritico. Ed è qui che s’innesta la parte innovativa del libro; in questa seconda parte ecco che si sgranano i pensieri notturni e gli incubi, i pensieri lucidi dell’alba con quelli solari del mezzodì, ecco che Zavattini butta al macero virgole e punti, finisce e ricomincia un ragionamento. Il libro diventa secondo Piero Dallamano un vulcano che vuole essere una fredda lente di analisi conoscitiva e di autoanalisi liberatrice, dove i ragionamenti vengono fuori con veemenza magmatica, ordinati con titoletti sul bordo laterale da una numerazione che potrebbe figurare in un trattato di Wittgenstein. Il libro è assolutamente straordinario. Ancora, secondo Giovanni Raboni, Zavattini mette di fronte all’impossibilità di decidere fra narrazione e diario, fra invenzione e riflessione; la Notte è tutte queste cose insieme: è la spaventosa contraddizione della cultura e della crisi attuale che la cultura sta vivendo, scrive Raboni, che Zavattini ha ancora una volta magistralmente messo in scena uscendo dagli schemi imposti: (…) Non importa, qui, dirsi d’accordo o non d’accordo con quanto Zavattini sostiene. Quello che importa è riconoscere la forza di testimonianza, la passione, l’audacia con cui il vecchio scrittore ha condotto, in questo libro, una contestazione davvero radicale, davvero sanguinosa di una cultura che è anche la sua e di un “privilegio” senza il quale, penso, gli sarebbe stato difficile vivere.
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