Ardigò, Achille: manoscritto autografo di 3 pagine (31,5 x 21 cm.) dal titolo: Motivi della nuova estetica. Il manoscritto fu pubblicato con varianti nella rivista “Il Setaccio” nel 1943. Cancellature, correzioni e aggiunte.
(…) Senz’affanno d’ideologi o senza scapigliato entusiasmo di falsi profeti, senza colpi di grancassa suonati alla ribalta d’una rinnovata Montparnasse, in questo finire di mezzo secolo apertosi con le luminarie di un’arte estremista e innovatrice, è lecito ormai parlare della nuova estetica, che già s’annuncia sopra le teoriche di ieri le quali sembrano insuperabili, sulle poetiche vecchie e recenti con tutto il peso delle esperienze filosofiche ed artistiche nate dai conati d’un passato prossimo così pregnanti di faticata umanità. (…) Il pensiero va mutando in prassi e le volontà si determinano in forme più immediate che mai: il pensiero vuol essere azione. Azione dura, lotta che non lasci gli angoli tranquilli alle costruzioni iperuranie e pare vada inaridendo le fonti ad ogni metafisica. L’estetica che viene chiarendosi, alla luce delle polemiche, non è tuttavia prematura quando anche attorno ben altro è il vivere nostro che una novella aesthetische krieg e manca la chiassosa irruenza dei manifesti. E’ una visione che ha la disincantata scaltrezza non ferma a posizioni irresolutive, una esigenza di umanità e di totalità inappagabile con le sperimentate ermeneutiche, e soprattutto l’avversione per i costrutti sistematici o le orbite chiuse alle continue ascensioni e riprese cui non il timore di un oggettivamento tiranno dà vita ma la sincerità d’un desiderio. Desiderio del vero. Al quale si volge in sofferenza questa nostra quasi stanca giovinezza, che ha bruciato le tappe, cercando nelle zone d’ombra oltre i confini d’ogni immagine, nelle pause dei discorsi, nei silenzi improvvisi delle meditazioni, fuori dalla sicura soglia di un sistema alimento e morte dell’anime orgogliose (…) Noi pensiamo alla nuova estetica come alla significatrice d’un’attività artistica che non sia estemporaneità e tecnica solo, che scorga nell’artefix l’uomo e non una fase logica (o tanto peggio cronologica) di quello, che non s’inveschi d’intellettualismo o …, che sia superamento di vecchie posizioni irrigide come di logore polemiche, senz’argini di scuole o di tendenze, aperta a tutte le foci della cultura, come il gran mare, a ricevere l’anelito delle sorgenti (…)
Achille Ardigò, sociologo e politico italiano, fu attivista dell’Azione cattolica negli anni 1930, entrando poi nella Federazione universitaria cattolica italiana nel 1938. Laureatosi in lettere e filosofia a Bologna nel 1942, fu partigiano della 6 Brigata Giacomo Matteotti dal 1º settembre 1944 alla Liberazione operando come staffetta; fu altresì redattore, fra il dicembre 1944 e il marzo 1945 del quindicinale clandestino bolognese, cattolico e antifascista, “La punta”, organo della Gioventù democristiana nell’Italia occupata. Successivamente entrò nella redazione di “Cronache sociali”, la rivista fondata da Giuseppe Dossetti, alla quale collaborò fino al 1951. Si occupò di temi internazionali: dal piano Marshall alla crisi economica in Gran Bretagna, dal liberalismo in Svizzera al programma sociale di De Gaulle in Francia. Fu al fianco di Dossetti quando quest’ultimo fu consigliere comunale a Bologna; collaborò alla stesura del Libro Bianco su Bologna ed alla proposta di far nascere i quartieri. Alla metà degli anni 1960, fu tra i fondatori della Facoltà di scienze politiche dell’Università di Bologna, della quale fu preside fra il 1970 e il 1972. Presso la stessa Facoltà fu professore ordinario di sociologia. Fu il presidente dell’Associazione italiana di sociologia fra 1983 e il 1985 e commissario straordinario all’Istituto ortopedico Rizzoli. Viene unanimemente considerato un padre della sociologia italiana; gli studi di Ardigò sulla teoria del soggetto, sul concetto di empatia, sulla dimensione cognitiva dell’ambivalenza metodologica rimangono e rimarranno come dei riferimenti.
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