De Chirico, Giorgio: Hebdomero, Roma, presso l’autore (tip. Menghini), 1957, 20,5 x 14 cm. Brossura editoriale; pp. 190, (2). Dedica autografa firmata e datata (1958) di Giorgio De Chirico al politico Vincenzo Recchia. Dorso e margini della copertina lievemente bruniti per esposizione alla luce. Rara edizione di questa stampa privata voluta dall’artista in memoria del fratello Alberto Savinio. Segue l’edizione originale in francese pubblicata nel 1929, e la prima edizione italiana del 1942.
Nel 1929 de Chirico pubblica, in francese, Hebdomeros. Esso rappresenta l’atto centrale di una guerra sorda che Andrè Breton e il surrealismo avevano intrapreso contro di lui, l’arma letale che de Chirico fa esplodere senza preavviso. Per motivi commerciali piuttosto squallidi, Breton nel 1926 lancia un’offensiva feroce contro il pittore, accusandolo di essere defunto intellettualmente nel 1917, dopo averlo esaltato come precursore del surrealismo nel 1924 e nel 1925. De Chirico aveva aperto la via al sogno e all’inconscio nell’arte moderna, e costituiva uno dei grandi punti fermi che avevano contribuito alla nascita del movimento di Breton. Ma le pretese e le sopraffazioni del capo del surrealismo spezzano il rapporto. La tattica di Breton è quella di definire i suoi vecchi amici dei “cadaveri”, sopravvissuti a se stessi (come successe con Bataille, Artaud, Desnos, Soupault ecc): de Chirico è solo il primo tra questi. Il capolavoro letterario di de Chirico viene recepito positivamente. Le riviste del surrealismo, però, tacciono spudoratamente. Escono diverse recensioni importanti, soprattutto a nome di personaggi di notevole rilievo nella cultura letteraria e figurativa francese. Tra le recensioni più significative vi è l’articolo di Edmond Jaloux, pubblicato sull’importante rivista “Les Nouvelles littéraires”. Grande ammiratore del pittore, riconosce l’originalità straordinaria del libro e individua alcuni riferimenti letterari come “lo stile solenne” di certi racconti di Poe. La recensione è entusiasta, ed esalta l’apparato allucinatorio, la stranezza dei dettagli, l’inquietudine metafisica, l’inconsueta struttura cinematografica che si interseca alla Grecia arcaica e alla Roma monumentale, la serie angosciante e affascinante di sogni che velano di gravità tragica fantasmi, statue e personaggi. Se l’eco del romanzo in Francia proseguì ininterrotto nell’ambito della critica letteraria che lo considera come capolavoro della letteratura surrealista, in Italia il libro, uscito in piena guerra mondiale (1942) con il titolo di Ebdòmero, non lasciò tracce sostanziali. D’altra parte gli italiani non amano il mistero. Le poche citazioni della stampa, all’epoca, sono essenzialmente incrementate, nel dopoguerra, da introduzioni a riedizioni del libro. Hebdomeros è una sequenza ininterrotta di 253 pagine (nella prima edizione) fitte di visioni, di associazioni, di citazioni, che mettono in scacco il lettore. Il flusso continuo non è molto differente da quello dell’Ulisse di Joyce. Anche Hebdomeros è un Ulisse, e la sua storia, autobiografica, è quella di un viaggiatore nel tempo e nelle idee, che ripercorre a tappe un percorso di vita, di conoscenza e di approfondimento del sé. Hebdomeros è un romanzo visivo, ma ogni immagine dechirichiana è gravida di riferimenti filosofici, letterari, mnemonici, allusivi. Sicché le scene non sono mai quadri fini a se stessi, mere descrizioni autonome o estetizzanti, o liriche.
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