Fuà Fusinato, Erminia: Fotografia originale vintage (9,5 x 5,8 cm.) nella quale è ritratta a mezzo busto la poetessa e patriota italiana Erminia Fuà Fusinato.
La fotografia è applicata su cartoncino con le indicazioni del fotografo fiorentino Guidi.
Erminia Fuà Fusinato. Nasce il 23 ottobre 1834 a Rovigo da Marco Fuà, medico, e da Gertrude Bianchi, ambedue di religione ebraica. Vive a Padova sin dall’infanzia. La sua istruzione si svolgerà in casa, senza particolare entusiasmo verso la religione ebraica, e il suo tutore è lo zio paterno Benedetto, ingegnere, che la seguirà adottando la pedagogia di J. H. Pestalozzi. La curiosità per la realtà circostante e per la natura sviluppano in lei una visione pragmatica della vita e un senso estetico molto forte che con gli anni si trasforma in vena poetica. Sposa, nonostante il diniego del padre, Arnaldo Fusinato, poeta e patriota, ma cattolico, il 6 agosto 1856.
Nei primi anni di matrimonio vive a Castelfranco Veneto nel palazzo della contessa Teresa Coletti Colonna, prima suocera di Arnaldo. Qui nascono i suoi tre figli, Gino, Guido e Teresa. Versatile nel poetare sin dall’adolescenza, prosegue negli anni a comporre e a studiare Dante e Petrarca. Partecipa agli avvenimenti risorgimentali prima attraverso l’attività cospiratrice del padre e successivamente condividendo e collaborando alla causa antiasburgica di Arnaldo. Nell’ottobre 1864, con i figli raggiunge il marito in esilio a Firenze. Qui partecipa, come poetessa apprezzata, alla vita intellettuale che si svolge nei salotti cittadini e diviene amica dei coniugi Peruzzi e intrattiene rapporti con Tommaseo e Lambruschini. Nel 1867, si fa promotrice della pubblicazione del romanzo Confessioni di un’ottuagenario di Ippolito Nievo presso l’editore Le Monnier.
Il successivo dissesto finanziario per incaute speculazioni del marito la costringe a cercare un’attività retribuita. È aiutata dal ministro Cesare Correnti che le offre l’incarico di ispettrice scolastica per le scuole femminili dell’Umbria e successivamente per quelle di Napoli, perlopiù gestite da ordini religiosi. La sua attenzione scrupolosa nel mettere a fuoco l’uniforme mancanza nella formazione delle allieve del senso critico è ricambiata dal ministro con l’incarico di insegnamento di Morale nelle Conferenze pedagogiche appena iniziate a Roma per la formazione delle maestre. Si trasferisce da sola a Roma, nel 1871 e dà prova di un approccio didattico del tutto innovativo rispetto al vigente prussianesimo scolastico.
Nel 1872, insegna Lettere italiane al terzo anno della scuola normale da poco istituita. Nel 1873, in seguito alla decisione della Giunta comunale di Roma di istituire l’Istituto Superiore Femminile, le viene proposto di dirigerlo. Acquistato e restaurato dal Comune, il palazzo Aldobrandini di via della Palombella, le viene destinata, all’ultimo piano, la foresteria. Durante il primo anno scolastico, è raggiunta dal marito e dalla figlia. L’Istituto, che segue il calendario accademico, sotto la sua guida e il suo insegnamento di Morale, riscuote un grande successo presso la borghesia laica della neocapitale. Il percorso curricolare, svolto in due bienni, attraverso le discipline umanistiche e scientifiche, pur prevedendo l’insegnamento dei lavori donneschi, è finalizzato a sviluppare nelle giovani allieve il loro orizzonte culturale. Il diploma finale permette l’iscrizione alla scuola normale.
Minata nel fisico dalla tubercolosi, muore a Roma, il 30 settembre 1876. L’Istituto prende il suo nome e lo conserverà anche quando diviene Istituto magistrale. L’11 maggio 1882, è inaugurato il monumento sepolcrale nel Cimitero del Verano a Roma.
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