Prezzo: euro 170
Autore: Malaparte, Curzio
Titolo: Il Battibecco
Editore: Aria d'Italia
Data: 1949

Malaparte, Curzio: Il battibecco. Inni Satire Epigrammi, Roma-Milano, Aria d’Italia, 1949, 21,5 x 13,5 cm. Brossura editoriale con sovracoperta; pp. 201, (7). Curiosa dedica autografa firmata e datata (1949) di Indro Montanelli a Camilla. Piccola mancanza alla parte bassa della sovracoperta. Esemplare ben conservato. Edizione originale.

Malaparte pensò di assumere il ruolo di moderno Pasquino, caustico sbeffeggiatore dei suoi contemporanei. Anzi, pensò di ritagliarsi il ruolo di fastidioso ‘batticulo’: Che ne dici di questo Battibecco?… E non ti pare che si potrebbe chiamare ‘il batticulo’? Con queste parole, che il personaggio Pasquino rivolge a Marforio, si apre il volume. Batticulo, in realtà, avrebbe dovuto essere, nelle intenzioni dell’autore, il vero titolo di quest’opera. La parola, di origine toscana, si riferisce, come spiega ancora una volta Pasquino, alla parte inferiore della maglia di ferro, che andava fastidiosamente a colpire il fondoschiena del cavaliere, una volta che questi, sceso da cavallo, si fosse messo a camminare. Da qui, per estensione metaforica, la parola si riferirebbe a tutto ciò che rappresenti qualcosa di molesto, non conoscendosi nulla di più fastidioso di quella ritmica pedata nel sedere. Si ritrova nel libro quel senso di pietosa solidarietà verso il popolo italiano, storicamente calpestato dai suoi governanti. Quel popolo di italiani che non riescono mai ad emanciparsi al rango di cittadini: gente da màcero, pecore da lana, galantuomini da forca, perché non v’è paese civile, in Europa, dove il cittadino sia, dai pubblici poteri, tanto disprezzato, offeso, umiliato, quanto in Italia, e dove gli sbirri abbiano, sulla povera gente, tanta potestà quanta ne hanno da noi (Battibecco, 12-13). E si ritrova anche, quella sconsolata constatazione dell’immutabilità della condizione storica e politica della penisola. Dopo l’esperienza del fascismo e di una guerra che aveva lasciato alle sue spalle solo macerie materiali e morali, l’Italia era rimasta la stessa di sempre: nulla è cambiato (Battibecco 13). L’inno della nuova repubblica proposto dallo scrittore in apertura del volume ben sintetizza la sua amara visione della storia politica nazionale: L’Italia è libera / Dio la conservi / siam tutti servi / in libertà. Malaparte aveva inizialmente proposto la pubblicazione di quest’opera all’editore Valentino Bompiani annunciandogli una serie di inni, satire ed epigrammi, del genere della cantata dell’Arcitaliano: in tutto cento pagine, di grandissima attualità e di sicuro successo. Il volume era pronto e gli annunciava la spedizione del manoscritto entro un paio di giorni. L’autore reclamava una tiratura importante: si doveva ad ogni costo evitare il pericolo che le librerie rimanessero, sia pure per 24 ore, sprovviste. Il titolo, concludeva, doveva essere il seguente: IL BATTICULO / Inni satire epigrammi / di Curzio Malaparte. Ma lo scrittore conosceva bene il clima culturale di un Paese ancora segnato dalla guerra ed ora campo di tensioni tra le nuove forze politiche in gioco, le cui strategie erano fortemente condizionate dallo scenario della Guerra fredda. E così Malaparte, nell’inviare il manoscritto del volume a Bompiani il 13 settembre aggiunse: Sono… convinto che tergiverserai, tentennerai, che, insomma, avrai paura: prenderai la scusa della parola ‘culo’ e di altre due parolacce, due sole, che troverai in un epigramma…. Temerai che il mio BATTICULO dispiaccia a qualcuno, per esempio ai preti, al Cardinale Schuster [arcivescovo di Milano], o che so io” (Lettera: 13 settembre 1948). Alla fine del mese, il 28 settembre 1949, lo scrittore spedì la prefazione. Il volume era a quel punto completo. Aveva pensato anche di arricchirlo con i disegni del pittore Renato Guttuso: disegnini da preporre ad ogni satira e ad ogni epigramma, piccoli, a tratto, e con i quali chiudere ogni satira e ogni epigramma. Insomma, la pubblicazione del volume sembrava ormai imminente (in novembre la casa editrice inviò alle librerie la scheda informativa, completa di sommario, con il titolo Batticulo). Ma il 29 settembre giunse a Malaparte una lettera di Bompiani che ebbe l’effetto di una doccia fredda: un buon uomo d’affari non stamperebbe oggi la tua raccolta. Certo, sarà venduta, ma resta a vedere quante vendite farà perdere. L’editore rimproverava allo scrittore la sua inclinazione allo scandalo, mentre la natura editoriale dell’operazione gli suggeriva di prendere qualche cautela. In sostanza, gli chiese di mutare il titolo, troppo piccante (riproponendo quello che in un primo tempo aveva annunciato lo stesso Malaparte, Il Panfollia), e di eliminare alcuni riferimenti a personalità pubbliche, che avrebbero potuto risultare imbarazzanti nel nuovo clima politico. La reazione dello scrittore non si fece attendere. Il 10 ottobre rispose a Bompiani con una lunga lettera dai toni accesi. In sostanza, rifiutava la possibilità di cambiare titolo al volume e si opponeva a tutti gli interventi suggeriti da Bompiani in merito al linguaggio e ai bersagli polemici (la Chiesa, il papa, le personalità della politica e della cultura della nuova Italia democratica): è inutile, ingiusto, e non intelligente, cercar di invigliacchirmi o di cambiarmi. L’impaginazione del libro andò comunque avanti e Malaparte accettò di sfumare qualche riferimento troppo pungente. Il titolo restò quello di Batticulo. Per tutto il mese di ottobre, l’editore e il suo autore si scambiarono osservazioni sulle bozze in correzione. A novembre il volume era ormai pronto per andare in stampa. Ma verso la fine del mese, Bompiani ebbe un ripensamento. Il 20 scrisse a Malaparte dicendogli che non se la sentiva più di pubblicarlo: Ora che dovrei, licenziando il volume, controfirmarlo, capisco che non posso. Sento che il tuo libro farebbe del male a te e a questo disgraziato Paese. Farebbe del male alla stessa libertà. Il tuo libro offende ogni cattolico e i sentimenti di tutti. Bompiani, che ben conosceva Malaparte e il suo temperamento, sapeva che lo scrittore non avrebbe accolto serenamente questa decisione. Temporeggiò dieci giorni prima di inviargli la lettera e volle affidarla personalmente a Giacomo Antonini, residente a Parigi, che l’avrebbe consegnata brevi manu allo scrittore, ritornato nel frattempo in Francia per la prima rappresentazione della sua commedia Du côté de chez Proust. La mancata pubblicazione del Batticulo segnò la rottura definitiva del rapporto professionale tra i due. Malaparte chiese a Bompiani di restituirgli le bozze del volume satirico ed anche della Pelle, che l’editore stava preparando per la stampa.

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