Frassineti, Augusto: Misteri dei ministeri, Torino, Einaudi, 1973, 22,5 x 14,5 cm. Tela editoriale con sovracoperta; pp. 299, (3). Dedica autografa firmata e datata (1977) di Frassineti a Giampiero Orsello Docente universitario, avvocato e giornalista, aveva ricoperto l’incarico di vice presidente della Rai lavorando da protagonista alla riforma del sistema radiotelevisivo del 1975. Pubblicato per la prima volta nel 1952, il romanzo è stato ampliato e riedito nel 1959 e quindi, in versione definitiva, nel 1973. Bell’esemplare.
L’uscita della prima edizione di Misteri dei Ministeri nel 1952 per i tipi di Guanda costituisce una prima tappa di provvisoria stabilità nella laboriosa gestazione dell’opera, che si cristallizzerà definitivamente con l’approdo tra i «Supercoralli» di Einaudi nel 1973, dopo oltre un ventennio di revisioni e modifiche.
Tra le cose che in Italia crescono d’anno in anno non ci sono soltanto gli enti inutili e lo stato caotico dell’amministrazione: c’è anche per fortuna un libro che di questo ineffabile regno del vuoto resterà forse l’unica traccia dopo i cataclismi tellurici e tecnologici dei secoli venturi, ed è Misteri dei Ministeri, la summa che Augusto Frassineti è andato componendo ormai da venticinque anni e di cui si presenta qui l’edizione (a tutt’oggi) definitiva. Chi dice che l’ltalia manca d’una letteratura satirica? Ben possiamo dire che Misteri dei Ministeri è uno dei libri più rappresentativi dei nostri anni, e che come oggetto della sua satira non sceglie certo un tema marginale o retrospettivo, ma prende di petto il nodo più doloroso che impastoia la vita italiana, il male più incancrenito da cui nessun cambiamento di regime o d’istituti è riuscito a liberarci: l’assurdità burocratica. Anzi, la lente di Frassineti s’appunta soprattutto sugli effetti di questa Ministerialità trascendente e astratta nella coscienza del cittadino che con le sue misere forze cerca di prendere a modello l’irraggiungibile Ufficialità: viene cosí messa a nudo una storica alienazione italiana, il rimettere il proprio destino nelle mani d’una divinità statale distante, maldestra e distratta. Dalla prosa delle pratiche burocratiche questo libro fa scaturire un fuoco di fila d’aneddoti grotteschi, di paradossali contes philosophiques; ora assume la forma del trattato scientifico (sulle proprietà fisiche e sulle misteriose radiazioni alla Ministerialità) ed etnologico (sul culto della Potenza ministeriale coi suoi rituali e le sue formule propiziatorie); ora colleziona un prezioso florilegio da un genere letterario solitamente negletto dagli studiosi: il «ricorso», l’«esposto», il «pro-memoria» all’autorità competente; per culminare nell’enunciazione d’una vera e propria Utopia , quella dell’«Amministrazione all’aperto». Ma il suo valore letterario sta soprattutto nella forma che il libro ha preso attraverso le sue successive aggregazioni: mimesi della «pratica» ministeriale, del dossier stipato di «pezze d’appoggio»; o mimesi addirittura della topografia labirintica d’un palazzo di Ministero; o prefigurazione già del suo punto d’arrivo – nelle pagine tutte lacerti e lacune -: lo stato di rudere, di rovina archeologica, d’archivio rosicchiato dai topi. Lo sguardo dei satirici senza illusioni, da Swift a Ionesco, non conosce compassione: solo cosí può pretendere di andare fino in fondo. L’inferno che Frassineti esplora è quello dell’ufficialità che promana dall’alto, quello dell’ufficialità che viene subita e alimentata dal basso, dall’alienazione del Suddito Modello, entrambe manifestazioni d’un unico virus che propaga un’accumulazione d’assurdo nel linguaggio e nel pensiero. Italo Calvino
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