Prezzo: disponibile a richiesta
Autore: Vanzetti, Emma
Titolo: Il doppio quattrova
Editore: Domus
Data: 1936

Vanzetti, Emma: Il doppio quattrova ovvero la cucina elegante, Milano, Edizioni Domus, 1936, 20 x 13,5 cm. Brossura editoriale; pp. XII, (4 con le illustrazioni delle mani della cuoca con didascalie), 381, (3). 32 illustrazioni nel testo di Tommaso Buzzi e Giò Ponti; impaginazione di Giò Ponti. Prefazione di Piero Gadda. Dorso leggermente scurito per esposizione alla luce, ma bell’esemplare ancora intonso. Raro.

Menzione di terza edizione al retro del frontespizio; in realtà si tratta di una nuova edizione di Il quattrova illustrato, ovvero la cucina elegante pubblicato a pochi anni di distanza dalla prima. La grafica del libro è rimasta la stessa dell’edizione del 1931, dovuta alla cura di Giò Ponti con le illustrazioni dello stesso Ponti e di Tommaso Buzzi; tuttavia rispetto a quella, la presente stampa conta un numero di pagine doppio (l’edizione del 1931 aveva 198 pagine) e ben 1014 ricette.

È una raffinata pubblicazione, un piccolo capolavoro di grafica. Fra i classici della cucina italiana, rappresenta lo spirito del modernismo al massimo del suo fulgore razionale e della sua ansia di novità. È un libro non solo per appassionati di buona cucina, ma per tutti quelli che si interessano di stile, considerando che venne pubblicato con la veste grafica e le illustrazioni curate da Tommaso Buzzi e Gio Ponti e con la prefazione di Piero Gadda, fratello del più famoso Carlo Emilio. Si è nell’ambiente fertile che aprì la stagione straordinaria, e internazionalmente fondamentale, del design e dell’architettura milanese, dove lo stile toccava i nodi profondi dell’esistenza sociale. Una nota editoriale che ne introduce la ristampa del 1978, a mo’ di succinto manifesto, specifica: “l’editoriale domus ristampa questo originale volume, nato nel 1931, nell’intento di riproporre la filosofia dell’arte culinaria intesa come creatività, fantasia di sapori, gioia conviviale, occasione d’incontri, piacere dello spirito.” Se il morale è basso, se la notte è stata piena di incubi, se la famiglia è afflitta da tristezza, se l’occasione mondana non ha prodotto gli agganci sperati, è tutta colpa di un piatto pesante, poco colorato, certamente incapace di intuire nuovi bisogni sociali così come nuove fusioni di ingredienti, una cucina forse senza inventiva o senza acume applicato alla vita pratica: invece di una cena danzante, che vede tutti stanchi e svogliati, giacché a Milano si lavora, si propone un ragionevole pranzo danzante, dove tutti arrivano freschi e direttamente dagli uffici! Il libro è rivolto, e non poteva essere diversamente visti gli anni della pubblicazione, alle donne dell’alta borghesia, ed è particolarmente attento alle forme del convitare, alla cucina delle feste o a quella dedicata agli ospiti inattesi, ai diner dansant, alle colazioni sull’erba. La padrona di casa, che nelle illustrazioni figura nelle vesti di equilibrista neolatina sulla sommità di un ammasso di utensili da cucina oppure futuristicamente meccanizzata alla Depero, ha una grande responsabilità nel gestire la modernità esistenziale, l’insorgere dei drammi psicologici e la fluidità degli affari economici. Le ricette sono ancora tutte molto attuali e rivelano che il menù, già agli inizi del Novecento, si era strutturato così come oggi lo conosciamo e consumiamo. Molto gradevole da leggere in tutte le sue parti, anche se le introduzioni ai vari capitoletti vanno lette con un pizzico d’ironia e di disincanto, in modo che alcune considerazioni vengano intese con un certo distacco: “piuttosto di assumere una cuoca la quale abbia già esercitato l’arte sua in altre case e vi venga incontro con tutto un corredo di nozioni sballate e in contrasto coi vostri principii, meglio vi converrà, e troverete più facile, il cominciare ad addestrare dall’inizio una giovane servetta ignorante, ma dotata d’intelligenza e di desiderio d’imparare.” La servetta ignorante, che di sicuro veniva da qualche cascina padana o malga alpina, del nuovo spirito culinario, razionale, creativo e letterato, non ne sapeva niente. Dal capitolo invito alla novità, che fa leva su quel desiderio di nuovo che è in fondo ad ogni aspirazione dell’uomo, quello spirito d’avventura latente in ognuno di noi, si riportano 2 ricette, di cui una che testimonia delle fusioni nuove e dell’emozione tropicale che correva come un brivido tra le pareti domestiche, quando il pompelmo si chiamava ancora grape fruit.

brodo di cocco

Forate una noce di cocco e raccoglietene il latte. Apritela, pelatela e pestate nel mortaio tutta la parte buona, tenendone da parte qualche pezzo che ritaglierete in quadratini e farete abbrustolire sul fuoco. Unite il latte alla polpa pestata e passate tutto da un tovagliolo, comprimendolo bene per estrarne tutto il sugo. Allungatelo con una giusta quantità di brodo ben chiarificato, con qualche cucchiaiata di crema di latte; aggiungete sale pepe noce moscata e riscaldate senza far bollire. Servite con i dadini di cocco abbrustoliti.

insalata di grape fruit

Tagliuzzate un cuore di lattuga, due mele ranette, quattro banane, qualche noce pelata, un bel “grape fruit”. Condite con maionese. Si può anche pensare di sostituire, come in Francia, al solito condimento a base di olio e aceto o maionese, il condimento più delicato a base di crema di latte e limone.

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