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Autore: Guttuso, Renato
Titolo: Destalinizzare la pittura
Data: 1962

Guttuso, Renato: Destalinizzare la pittura dei paesi socialisti. Lungo dattiloscritto firmato di 25 pagine (28,5 x 23 cm.), densissimo di correzioni autografe, aggiunte manoscritte e ampi tagli di tutti i passaggi più espliciti, specialmente quelli contenenti le considerazioni politiche. Alle pagine dattiloscritte si intercalano 4 pagine autografe. Senza data ma 1962. L’articolo fu parzialmente pubblicato sulla rivista “Europa Letteraria”. Lo scritto di Guttuso si inserisce nel dibattito apertosi nella cultura italiana a seguito di quanto avvenne alla Biennale di Venezia del 1962, quando la selezione degli artisti presenti nel padiglione russo pose in essere il problema del rapporto tra politica ed arte. Rari i manoscritti di Guttuso. Ben conservato.

Nel 1962, Larisa Salmina, il commissario del padiglione, esplicitava così i criteri con cui erano stati selezionati gli artisti che dovevano rappresentare la cultura artistica russa in una fase molto delicata della sua vicenda novecentesca, quella del disgelo post staliniano guidata da Nikita Khrushchev: “L’arte sovietica è rappresentata alla XXXI Biennale di Venezia da alcuni artisti appartenenti a varie nazionalità e generazioni. L’opera di questi artisti dà una chiara idea di quanto siano numerose le maniere creative, di quanto sia ricca la tematica che illustra la vita del popolo sovietico, e di come sia profondamente umana l’arte sovietica”.

Se Renato Guttuso parlò allora di “resistenzialismo”, i critici italiani scrissero invece o di un “faticoso travaglio per il rinnovamento” (Mario De Micheli) o di un perdurante arretramento. Paolo Rizzi su “Il Gazzettino” denunciava: <<Destalinizzare la pittura dei paesi socialisti. Già, come se tutto dipendesse da Stalin, come se bastasse togliere dai muri i ritratti del dittatore ripudiato. […] È troppo facile il giochetto. È troppo facile dire che tutta la creazione artistica dell’Unione Sovietica e dei paesi socialisti è alla vigilia di un cosciente rinnovamento che non intacca, anzi rafforza i valori>>. Il primo che affrontò il problema della destalinizzazione della pittura in modo graduale fu Chruscev. Con lui si aprì una fase di apertura culturale, nota come “il disgelo”. A mano a mano che il processo si avviò, nei quadri a tema sovietico venivano trasferiti i valori ideologicamente neutrali della pittura en plein air, traducendosi di fatto in un revival impressionistico in forte contrasto con l’estetica staliniana. Si affermò così una sorta di Impressionismo sovietico e Stile severo, che faceva forza su “immagini sintetiche” riconducibili a varie influenze internazionali tra cui Renato Guttuso, i muralisti messicani, i pittori inglesi del “Kitchen Sink” nonché all’arte sovietica degli anni Venti ripudiata dallo stalinismo. Il conflitto tra innovazione e conservazione scoppiò a Mosca nel 1962 in occasione di una grande mostra alla Sala del Manège di fronte ai “Geologi di Nikonov”, dipinto che con la sua estrema semplificazione della forma, insidiava l’impianto tanto narrativo quanto ideologico dell’intero sistema artistico sovietico. Di fatto, i Geologi non determinarono il crollo del Realismo socialista, ma rivelarono in modo inequivocabile i cambiamenti in corso nella pittura sovietica.

(…) Alla base di molte impazienze e delusioni sta il fatto che per molti, anche di buona fede, un vero “disgelo” dovrebbe significare l’abbandono della vita socialista e il rientro nella vita occidentale. (…) Se una precettistica è sempre inammissibile in arte, per di più venne imposto un piatto manierismo simile al naturalismo borghese (Repin è affine al napoletano Morelli, e Vereschiaghin è un Meissonier ancora più noiosamente minuzioso) … Sicché l’arte sovietica si trova in posizione di vantaggio per ciò che riguarda l’essenziale e impacciata nella pratica, proprio in virtù delle stesse forze. Mentre da noi accade il contrario. (…) Non credo che basti invocare una generica liberalizzazione nel senso di chiedere al P. C. U. S. di disinteressarsi delle questioni dell’arte e della cultura. C’è anzi da augurarsi che il partito se ne occupi più a fondo, vincendo nelle proprie stesse istanze e nelle organizzazioni culturali, le resistenze, le riserve, la sacralità delle consuetudini, rinnovando i metodi, e soprattutto aiutando le menti di molta gente a ripulirsi dalle incrostazioni e dagli schemi, riesaminando i termini della fiducia che il partito ha avuto in organismi e persone (…) Dal dattiloscritto di Guttuso.

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